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martedì 8 settembre 2009

FOTOCOPIATI ....I GIORNALI


di Vittorio Feltri da il Giornale

E' impressionante l'appiattimento della stampa italiana. Ieri quattro grandi quotidiani avevano lo stesso titolo d'apertura. Identico. Fotocopiato. E speriamo non concordato. Repubblica, Corriere della Sera, Stampa e Messaggero si presentavano così in edicola: »Bagnasco: attacco disgustoso» (l'unica variante spiccava sotto la testata affidata a Ezio Mauro: anziché Bagnasco, si leggeva i vescovi»).
Sembra di essere tornati ai tempi di Tangentopoli quando i direttori si telefonavano all'ora critica prima della chiusura e concertavano quale piatto offrire al pubblico. Un modo casereccio per editare una sorta di Pravda: la medesima mappazza sotto etichette diverse.
In occasione della vicenda resa nota dal Giornale (e cioè quella del direttore di Avvenire che ha patteggiato per molestie, pagando una sanzione pecuniaria sostitutiva della pena detentiva) le forze armate di carta hanno, mi auguro una tantum, riattivato l'antico cliché corporativo. Ovvio, si trattava difar passare l'idea che la Cei abbia ragione di indignarsi e il Giornale torto a provocare scandalo riportando un fatto documentato. A proposito. Il cardinale Bagnasco giudica disgustoso il nostro attacco, ma non giudica disgustoso l'episodio che lo ha generato e di cui è stato protagonista Dino Boffo. Che razza di morale è questa? Da quando in qua raccontare un reato è peggio che commetterlo? Sua eminenza è fuori strada, e come lui i quotidiani che si sono accodati acriticamente.
Qualche sprovveduto ci ha rimproverati di aver confezionato un falso per colpire Avvenire. Bene. Eccolo servito; pubblichiamo in prima pagina la prova regina: il testo della Procura da cui si apprende dell'avvenuta esecuzione della pena inflitta e il reato relativo. Leggete e mettetevi il cuore in pace. La realtà è questa: Boffo ha patteggiato, e perché lo abbia fatto sono affari suoi, che se vuole può spiegare. Oddio, comprendiamo il suo ritegno e il suo stato d'animo, un po' meno le dichiarazioni di Bagnasco e per nulla la maniera con cui i giornali le hanno enfatizzate senza nemmeno ascoltare la nostra campana. Ma fin qui accettiamo, siamo gente di mondo.
Ciò che sorprende è la spudoratezza di Eugenio Scalfari, fondatore di la Repubblica, il quale per sostenere la tesi secondo cui io avrei agito come killer di Berlusconi, si inventa una mia visita a Palazzo Chigi nei giorni successivi alla mia nomina a direttore del Giornale. Questa sì è una patacca, resa ancor più grave dalla circostanza, pure inventata, che io stesso avrei detto, non si sa a chi, dì essermi recato dal presidente per mettere a punto in un'ora i piani di attacco mediatico a fantomatici nemici politici.
Un romanzetto fantastico che dimostra una cosa: qui se c'è uno specialista in killeraggio è Scalfari. Il quale se fosse stato un giornalista scrupoloso non avrebbe avuto difficoltà a verificare che a Palazzo Chigi sono andato l'ultima volta quattro o cinque anni fa. Perché chiunque entri nella sede della presidenza del Consiglio esibisce i documenti, e le sue generalità vengono trascritte. Confermo invece di essere stato più recentemente a Palazzo Grazioli: circa due anni orsono; e al governo c'era Romano Prodi.
Se poi non bastasse, sarei disposto a dare il mio ok a chi desiderasse controllare i tabulati delle mie telefonate in entrata e uscita e la durata delle conversazioni, da cui si comprenderà che con il Cavaliere ho parlato in un passato non remoto per un totale di un paio di minuti, non certo sufficienti a elaborare una strategia di killeraggio.
Ergo. La patacca è di Repubblica, non del Giornale. Il killer non sono io, bensì Scalfari che spaccia balle su di me esercitandosi in una pagina di giornalismo basato su congetture anziché sui fatti. Dunque la Repubblica è inattendibile.
Mentre scrivo leggo un dispaccio di agenzia. Il pretendente alla segreteria del Partito democratico, Ignazio Marino, afferma che c'è da vergognarsi di quanto è accaduto negli ultimi giorni. E punta il dito contro di noi.
Marino non può permettersi simili libertà. Semmai è lui che deve vergognarsi: non si fa la cresta sulle note spese. Fregare soldi all'Università (che ti licenzia, di conseguenza) non sta bene e non fornisce la patente per

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