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mercoledì 7 ottobre 2009

VECCHI DISCORSI SUI FASCISTI


Ma ritorniamo a Lugano dove avevamo lasciato il neofascista milanese Bonocore casualmente ospite in una abitazione di proprietà di Tito Tettamanti.

Sempre a Lugano si fanno vedere altri due elementi di spicco del neofascismo milanese: Gianluigi Radice e Giancarlo Rognoni. In Svizzera trova rifugio anche Pietro Benvenuto, l’emulo genovese di Nico Azzi. Ben­venuto è uno dei guardaspalle dell’avvocato De Marchi ed è stato rappresentante di lista per il MSI. Il 29 settembre del 1974 scoppia un ordigno in un appartamento di Genova mentre lo stavano confezionando. L’esplosione è limitata ai soli deto­natori perché questi non erano ancora collegati all’ordigno. I terroristi fug­gono, certamente feriti, ma uno di essi perde il borsello con tanto di docu­menti: è Pietro Benvenuto.

Nell’appartamento vengono trovati timer, deto­natori, fili elettrici, micce, una batteria, un candelotto di dinamite e una pistola calibro 7,65. Benve­nuto è tra i partecipanti alla riunione che si tiene a Lo­sanna il 23 ottobre del 1974 dove vengono pianificati gli attentati di Savona. Sono presenti anche Giacomo Tubino, chia­mato il re del caffè e finanziatore del Fronte nazionale e della Rosa dei Venti, Attilio Lercari e Tor­quato Nicoli. Quest’ultimo affermerà poi di aver consegnato al SID le bobine con la registrazione dell’incontro.

L’avvocato Francesco Bignasca, residente a Biasca nel Canton Ticino, è uno dei più importanti intermediari del traf­fico di armi gestito dalla Mondial Import Export, società di copertura usata dagli ordinovisti romani. “Il noto avv. Francesco Bignasca, di anni 55, cittadino svizzero […] avrebbe depositato nella repubblica elvetica, in un istituto bancario, buona parte dei fondi della ditta Mondial Import-Export, indicata dalla stampa di sinistra come dedita al traffico di armi e i cui massimi esponenti sono i noti dr. Romano Coltellacci, Giulio Maceratini e Mario Tedeschi. Bignasca, inoltre, è in contatto con il dr. Giovanbattista Filippa, che è solito dichiararsi come rappresentante del governo rodhesiano in Italia. Quest’ultimo, infine, da diversi anni è in rapporti di amicizia con l’on.le Pino Rauti, del Msi-Destra nazionale”[11].

Dall’appunto, insomma, emerge non solamente il rapporto tra Rauti e il rappresentante di un governo all’epoca noto per essere uno dei più razzisti del mondo, insieme con il Sudafrica, ma soprattutto la collusione con un personaggio ambiguo, quale Bignasca, presentato come finanziatore dei missini. Evidentemente le notizie riportate nella nota dovevano essere state verificate, se il successivo 27 dicembre 1974, sempre dal Viminale, veniva inoltrato a Torino un ulteriore appunto più stringato ma, se possibile, ancora più esplicito:

“Fonte fiduciaria segnala che l’avv. Francesco Bignasca (…) titolare della ditta Mondial Import Export, sarebbe uno dei finanziatori delle organizzazioni neofasciste italiane. In particolare sarebbe in contatto con Romano Coltellacci, Giulio Maceratini e Mario Tedeschi (…)”[12].

Tom Ponzi ha un ufficio in via Beltramina 1 a Lugano. Nel consiglio d’amministrazione della Tom Ponzi Investigation figurano Fabio Maspoli, fi­glio dell’ex consigliere democristiano Franco; Plinio Caffi, già vice sindaco di Mendrisio; Annibale Rolandi, liberale ed ex funzio­nario governativo e, so­prattutto, la segretaria di Walter Beneforti. Ponzi è in contatto con il MAR at­traverso il massone bresciano Adelino Ruggeri, titolare dell’agenzia d’investigazioni Cidneo. Di Ruggeri si occupò il SID nel 1956 a seguito di un’indagine sul Movimento nazionalista degli italiani, da lui fondato a Brescia. Nel 1968 da vita all’OAP, Organizzazione d’azione patriottica, movimento che lavora a stretto contatto con il Fronte Nazionale, con Ordine Nuovo e con l’Associazione del combattentismo attivo, formata da reduci della RSI.

In Svizzera si è rifugiato, con la famiglia, Alessandro Micheli. Ex agente del SID e titolare, dal 1972, di un’agenzia investigativa a Padova. Ma già in prece­denza, e almeno per quattro anni, aveva operato a Padova alle dipendenze del SID.

I fratelli Euro e Marco Castori, ordinovisti perugini, abitano nella casa di campagna (a Scudellate, 30 chilometri da Lugano, ma vicinissima al confine italiano) di Angelo Angeli.

Angeli fu coinvolto, all’inizio del 1974, in una storia rimasta molto oscura di minacce ed estorsioni e di un grosso traffico di valuta organizzato dal mila­nese Convertino, uomo di Fumagalli. I fratelli Castori saranno arrestati il 4 ottobre del 1974: erano ricercati per l’attentato, rivendicato da Ordine Nero, alla casa del popolo di Moiano. Erano tra partecipanti alla riunione dell’hotel Giada di Cattolica.

L’hotel Commodoro di Lugano - di proprietà di Vittorio Emanuele di Savoia - è un impor­tante luogo d’incontro e di riunione di questi personaggi.

A Gandria, Leggio, attraverso un prestanome, è proprietario di una villetta dove alloggia frequentemente.

Nella zona di Scudellate e della Val di Muggio si passa agevolmente il con­fine sottraen­dosi ad ogni controllo. La stessa cosa avviene nei Grigioni dove ci sono numerosi sentieri che portano direttamente in Valtellina.

Ci sono poi, sempre nel luganese, strani traffici che coinvolgono un importante ex marò della decima e buon amico di Borghese come Eugenio Wolk e due fratelli ex ufficiali della Milizia e oggi industriali a Pero (MI).

Sul lago di Lu­gano, tra Oria e Gandino, è rimasto a lungo ormeggiato un pontone della marina italiana, acquistato come residuato bellico, e poi trasferito a San Be­nedetto del Tronto nel tratto di mare prospiciente la villa di un noto esponente missino.

Sempre nello stesso periodo, la presidenza della Banca Commerciale Sviz­zera passa da Vittorio Emanuele a Michele Sindona.

E’ a Lugano che Nardi acquista le armi poi sequestrate al valico di Brogeda. Sempre a proposito di Nardi e Stefàno va detto che nell’inchiesta Violante sul golpe Sogno si parla di contatti avuti dal duo a Ispra con Eliodoro Pomar, ma nemmeno l’autorità giudiziaria è riuscita a saperne di più e, soprattutto, a introdursi die­tro i cancelli dell’EURATOM.

Negli stessi giorni il dottor Cri­scuolo, dell’antiterrorismo di Torino, sta indagando in Svizzera su un grosso traffico di armi nel quale sono coinvolti l’ordinovista torinese Salvatore Francia e lo spagnolo, fiduciario dei servizi falangisti, Luis Garcia Rodriguez.

Marcello Mainardi, fascista bresciano, direttore del periodico Riscossa e amico di nume­rosi personaggi coinvolti nelle trame nere, è proprietario di al­cuni ristoranti in Svizzera e abita a Bellinzona. Nel gennaio del 1973 ospita, in uno di questi, il latitante Marco Pozzan. Inoltre è coinvolto, ma riesce a cavar­sela, in una serie di furti di esplosivo.

Dalla Svizzera transitano i carichi di armi e altro materiale NATO destinati alle basi ita­liane. Va segnalato anche che negli stessi giorni del progettato golpe dell’ottobre 1974, si svolgono sul confine manovre dell’esercito elvetico. Pura coincidenza?

Un discorso a parte lo merita il traffico di armi. La Buhrle di Oerlikon, nei pressi di Zurigo, invia in Spagna numerosi carichi di armi. Questa azienda è stata più volte processata per vendita di armi al di fuori delle rigide leggi del governo svizzero in materia di commercio di armi. L’attività della Buhrle non deve comunque sorprendere: uno dei titolari, infatti, vanta una buona amicizia con il ministro della Difesa e, entrambi, con Vittorio Emanuele, noto media­tore di questo commercio. Il traffico interessa, oltre alla Svizzera, Germania, Fran­cia, Belgio, Italia, Spagna e Grecia. Come corrieri vengono usati emi­grati reclutati per questo preciso compito. E’ nota la storia di un giovane emi­grato italiano, in difficoltà eco­nomiche nella gestione della propria pizzeria, e che si presta a fare viaggi per l’organizzazione. Intercettato al confine belga, è arrestato. L’inchiesta però, misteriosa­mente, scompare. Esiste - siamo all’inizio degli anni settanta - un’indagine della magistra­tura di Coblenza e un procedimento aperto nei confronti della Marex che, insieme alla Radio Air, vende armi all’Italia, usando canali diversi da quelli re­golari. Questo traffico funziona grazie alla copertura dei servizi tedeschi e ita­liani. Colonia è indicata come uno dei passaggi obbligati della via delle armi che serve ad alimentare in Italia due canali: il terrorismo nero e la criminalità organizzata.

Un’inchiesta giornalistica dell’epoca parla di due imprenditori italiani legati al MSI e di casa al consolato italiano. L’inchiesta coinvolge an­che alcune ditte di import-export. Le armi partono da Liegi per raggiungere, via Colonia, l’Italia. Sono caricate su TIR che ufficialmente trasportano sacchi di zucchero. Si tratta di TIR che fanno abitualmente la spola: partono dall’Italia carichi di pasta o frutta e rientrano trasportando armi.

Un esempio: la polizia tedesca ferma alcuni autocarri che, stando alle dichiarazioni doganali, dovrebbero trasportare ricambi per auto, in realtà sono carichi di ricambi per fu­cili automatici, pistole e altre armi. Anche questa in­chiesta scompare nel nulla. Qualche giorno dopo - i fatti di cui parliamo si svolgono nei primi anni settanta - la polizia arresta a Saarbruck 28 persone appartenenti ad una organizzazione specializzata in traffico di armi. Tra gli organizzatori e i protettori del traffico troviamo esponenti del mo­vimento Ustascia e l’organizzazione Paladin. Su questi traffici pubblicano ampie inchieste i settimanali Stern e Quick.

Altro centro importante di questo traffico è Colonia. Va segna­lato che proprio a Colonia Porta Casucci aveva ritirato due decorazioni naziste e che la città tedesca è uno dei più importanti centri d’attività dei Comitati tricolori, orga­nizzazione le­gata al MSI e diretta da Mirko Tremaglia. Tra l’altro dei Comitati fanno parte il generale De Lorenzo, il generale dell’aeronautica Giuseppe Valla, l’ambasciatore Luca Pietromarchi.

Questi Comitati mantengono ottimi rapporti con il controspionaggio tedesco come scrive apertamente il perio­dico missino Italia tricolore nel maggio 1972 e con la Confindustria te­desca come sostiene lo stesso organo confindustriale Der Arbeitgeber.

Qualche giorno prima della strage di Brescia una persona “legata agli ambienti ufficiali italiani in Germania” aveva cercato di acquistare a Düsseldorf un grosso quantitativo di armi au­tomatiche da inviare immediatamente in Italia. An­che questa traccia si è persa nel nulla.

A questo punto la storia si fa decisamente intricata, ma dà il senso del groviglio in cui chi avesse voluto indagare seriamente, si sarebbe tro­vato.

Con l’arresto di Giacomo Micalizio (ottobre ’74) vengono alla luce nuovi collegamenti tra mafia e terrorismo nero.

Nell’indagine sul MAR-Fuma­galli compaiono Angelo Squeo, Roberto Colombo e Antonio Sirtori. Quest’ultimo è socio di Vincenzo Arena - detto Don Ignazio - boss del traffico della droga e stretto collaboratore di Luciano Leggio.

Colombo, uomo di fiducia di Fuma­galli e segnalato in Abruzzo e ad Ascoli nei giorni precedenti Pian di Rascino, viene definito “un corriere che faceva molti viaggi in Svizzera”.

Sirtori, invece, fungeva da pre­stanome sia per i terroristi neri che per la mafia. Ma Sirtori è anche intimo amico di Sergio Boffi, ac­cusato di essere il killer che ha colpito il questore Angelo Mangano su ordine di Frank Coppola.

Contemporaneamente si avanza un collegamento tra la scomparsa del giornalista Mauro De Mauro e il golpe Borghese. De Mauro è un ex ufficiale della Decima, come l’altro paler­mitano Micalizio, e conosce molto bene il principe Borghese. Ciò è testimo­niato dal telegramma che lo stesso Borghese invia alla moglie Elda dopo la scomparsa: “ha ser­vito fedelmente il suo giornale così come servì la Decima”. E che i due fossero molto amici è testimoniato anche da un altro fatto: in nome di questa amicizia De Mauro aveva chiamato Junia la sua primogenita.

Prima di scomparire De Mauro aveva confidato ad un amico: “ho per le mani un grosso colpo che farà tremare l’Italia”. C’è il sospetto che De Mauro abbia finto di aderire al golpe - sulla base del richiamo alla fedeltà fatto da Bor­ghese - per poter poi denunciare il tutto.

Vero o non vero anche questa ver­sione della scomparsa di De Mauro, come quella che lo lega invece ad un’inchiesta sulla morte del presidente dell’ENI, Enrico Mattei, rimanda ai rapporti tra mafia, servizi e gruppi eversivi. Va aggiunto che proprio in quei giorni la polizia sta cercando in Sicilia il latitante Eliodoro Pomar ed è forte il sospetto di un coinvolgimento della mafia nell’organizzazione della sua fuga.

Durante la perquisi­zione della sua abitazione vengono trovati molti elementi che provano i rapporti con ban­che di Montevideo e depositi presso istituti di credito di Bologna, Modena e Finale Emilia. Vengono trovati anche conti di una banca di Lugano dai quali sarebbero stati emessi as­segni a favore di Micalizio. Seguendo questa pista gli inquirenti finiscono per indagare sulla Importazioni-esportazioni, ditta con sede in piazza Mazzini a Modena. Si tratta di una curiosa azienda, creata nel 1968 per iniziativa di un gruppo già proprietario di una fabbrica di frigoriferi di San Matteo della Decima (BO). Quest’ultima fallisce nel 1970, mentre la Im­portazioni-esportazioni continua ad operare. Di fatto non importa e non esporta nulla, ma si occupa di intermediazioni soprattutto con la Spagna.

E’ diretta da uno strano personag­gio, Giancarlo Neri. E’ attivista della CISNAL e ufficialmente è occupato come inserviente presso il Policlinico. Verrà poi sottoposto ad un’inchiesta amministrativa per una lunga e ingiustifi­cata assenza durante l’estate del 1974. Nei giorni seguenti verranno perqui­site le abita­zioni del conte Gherardo Boschetti, titolare della MGM (Materiali da guerra Modena).

Perquisita anche l’abitazione del suo socio Guido Petazzone e di Gior­gio Bitossi, collaboratore della ditta. La società lavora principal­mente con i paesi africani. Il 12 settembre 1974 i tre sono arrestati insieme all’intermediario Gianmarco Rogiani. L’impresa commercia in armi, dalle pistole ai carri Ti­gre, dai Mirage alle motosiluranti. E’ specializzata in triangolazioni con paesi afri­cani per la vendita di Mirage e carri Tigre. In particolare l’attenzione degli in­quirenti è at­tirata una for­nitura al Ghana, per centinaia di miliardi, di Mirage e Tigre. Que­sto affare è stato trattato direttamente da uno dei principali diri­genti della MGM, l’amburghese, residente a Modena, Rudolf Lentz.

Altro col­laboratore della MGM è Franco Ghinosi. Si sospetta che in realtà i pezzi ac­quistati dal Ghana siano diretti in Rodhesia. Le indagini coinvolgono anche alcune ditte di import-export operanti nel ferrarese. In particolare un’inchiesta condotta dai sosti­tuti bolognesi Persico e Nunziata si occupa della Fratelli Patelli e della Giorgio Frick. En­trambe commerciano frutta con Monaco, Am­burgo e altre città tedesche. I Patelli hanno rilevato l’attività commerciale dalla famiglia di Claudio Orsi, mentre presso la Frick lavora la moglie di Giuliano Borghi. En­trambi sono dirigenti del MSI ferrarese e sono animatori del gruppo di amici di Franco Freda.

Nella stessa zona si era verificato, l’11 giu­gno del 1974, uno strano episodio. All’ospedale Sant’Anna di Ferrara è ri­coverato per una fe­rita d’arma da fuoco al torace un certo Rondanini, abi­tante a Occhiobello (RO), un paesino situato ap­pena al di la del Po e a pochi chi­lometri dal Motel di proprietà di Claudio Orsi e abituale luogo di riunione e ri­trovo dei fascisti ferraresi e padovani legati a Freda. Si parla di tentato sui­ci­dio, ma non viene trovata alcuna arma. Rondanini è un fascista molto cono­sciuto nella zona, più volte denunciato per minacce e detenzione di armi. La ferita fa pensare più a un regolamento di conti che non a un suicidio. L’uomo, che ufficialmente fa l’imbianchino, conduce una vita molto dispendiosa e viaggia a bordo di una lussuosa Mercedes.

Ma ritorniamo un passo indietro. Sugli sviluppi delle indagini relative al se­questro di Pietro Torrielli è arrestato a Milano Giuseppe Pullarà, zio di Ignazio e anche lui tra i luogotenenti di Luciano Leggio. Nelle indagini vengono coinvolti anche Giuseppe Ugone, proprietario della cascina di Moncalieri dove rimane prigioniero per due mesi Rossi di Montelera e i fratelli Gaetano e Antonino Quartaro.

Ugone è stato visto più volte in Sici­lia insieme a Leggio. In particolare, un anno prima, è stato notato a Vaccarizzo, località ma­rina a dieci chilometri da Catania. A Vaccarizzo la moglie di Gaetano Quartararo, France­sca Buscemi, ha comprato, con soldi poi risultati forniti da Ugone, un terreno del valore di 60 milioni dove sta facendo costruire una lussuosa villa. Contemporaneamente a Trez­zano sul Naviglio – dove pe­raltro è in corso un’inchiesta del giudice Viola su alcuni strani movimenti ban­cari condotti da Michele Sindona – Ugone, Guizzardi e Ciulla (tutti coinvolti in vari sequestri di persona) stanno anche loro costruendo ville da favola. Sono indagati anche, insieme ai fratelli Taormina, Salvatore Cangelosi, Rossano Gregorio e un certo Indoviglia. Tutti questi sono in rapporti con Pietro e Renzo Ragusa titolari di un’azienda che ufficialmente commercia in macchine da caffè. Pietro è proprietario anche di una catena di ristoranti a Monaco di Ba­viera. Inoltre ha interessi commerciali anche ad Heking, un piccolo centro nei pressi di Monaco. E’ il paese da cui proviene Wolfang Kummerer, ritenuto la mente del sequestro Lucchini.

In­sieme a Kummerer sono coinvolti nel sequestro Mario Spinato, Alberto Anto­nelli e Fiorenzo Trincanato. Quest’ultimo è amico dei fascisti pa­dovani del gruppo Freda e sarà coinvolto, molti anni dopo, nell’inchiesta sull’uccisione, ad opera della banda NAR di due carabinieri a Padova, durante un conflitto a fuoco che porterà all’arresto di Valerio Fioravanti. Trincanato si dà alla latitanza e sarà protagoni­sta di un oscuro episodio il 22 dicembre 1984, alla vigilia della strage del treno 904: di fatto si fa arrestare mentre viaggia contromano lungo una strada a senso unico su una moto senza targa a Mentone. Sembra quasi che faccia di tutto per atti­rare su di se l’attenzione della polizia.

Ritornando alla vicenda Lucchini biso­gna aggiungere che l’auto di Trincanato era stata no­tata in occasione di altri sequestri.

Anche la Procura di Treviso sta indagando sul gruppo di malavitosi guidati da Kummerer e l’inchiesta è in una fase molto avanzata. Ma il tribunale bresciano emette una serie di mandati di cattura re­la­tivi al solo sequestro Lucchini, bloccando di fatto il lavoro dei giudici trevi­giani. Si ha in­somma l’impressione che i mandati spiccati a Brescia servano più a fermare un’inchiesta che ad ampliarla

Parallela­mente era stato arrestato a Trezzano Antonio Zito. Finisce in carcere in se­guito agli sviluppi di un’inchiesta nata a La Spezia dopo il ri­trovamento, nel deposito bagagli della stazione, di una valigia contenente 4 chilogrammi di tritolo. La valigia appartiene al fascista spezzino Niccolò Ruisi, sospettato tra l’altro di es­sere l’autore dell’attentato alla caserma dei carabinieri di Alcamo. Insieme a Ruisi è arre­stata un’altra persona: i due parlano e finiscono per mettere nei guai Zito, galoppino del clan Ugone-Guizzardi.

Altri collegamenti tra neofascisti e mafiosi arrivano dall’attività di Roberto Colombo e Anto­nio Sirtori. I due, uomini di Fumagalli, erano in contatto con Don Ignazio, ovvero quell’Arena arrestato dalla Guardia di Finanza e al quale Leggio aveva affidato il controllo del traffico di droga nel Nord Italia. Arena era strettamente legato ad un altri fascisti coin­volti nell’inchiesta sul MAR di Fu­magalli: Angelo Squeo e Donato Convertino, quest’ultimo coinvolto insieme al sanbabilino e amico di Nardi, Angelo Angeli, in un misterioso episodio di minacce, estorsioni e traffico di valuta tra l’Italia e la Svizzera.

Squeo e Con­vertino, in­dagati anche per traffico di droga, sono titolari a Milano di varie of­ficine di demolizione: via Salomone, via Puglia e viale Zama. Queste ditte sono collegate con la DIA di proprietà di Carlo Fumagalli, ovvero l’officina che si trova a poche decine di metri dal punto dove muore misteriosamente Feltrinelli a Segrate e vengono trovati documenti che provano il passaggio di numerose vetture, soprattutto Land Rover, tra le diverse officine.

I legami tra Fumagalli e Cosa nostra sono cosa nota, tanto che il capo del MAR reclutava molti mafiosi de­stinati al domicilio coatto nelle zone in cui operava l’organizzazione.

Quanto abbiamo finora descritto rappresenta solo la punta dell’iceberg, la crosta più su­perficiale e appariscente e, tutto sommato, anche la meno peri­colosa e sofisticata perché facilmente individuabile e, alla bisogna, altrettanto facilmente, eliminabile o neutralizzabile.

Ma la realtà nella quale si sta muovendo Calabresi, come abbiamo visto finora, è notevolmente complessa e chiama in causa inte­ressi notevoli.

Facciamo ancora un passo indietro per provare a ca­pirne qualcosa di più.

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